L’uccisione di Riccardo Rasman

 
L’uccisione di Riccardo Rasman

di Valerio Evangelisti

RiccardoRasman.jpgLe
sue foto sono strazianti. Una specie di bambino troppo cresciuto, con
gli occhi grandi e chiari, ingenui, e un perenne mezzo sorriso sulle
labbra, lo stesso che aveva da piccolo. Un “ragazzone” triestino di 34
anni (pesava 120 chili, era alto 1,85), per testimonianza di tutti mite
e gentile, un po’ goffo, incapace di fare del male. Era afflitto da
“sindrome schizofrenica paranoide”, che lo aveva colpito dopo il
servizio militare nell’aeronautica, e gli scherzi feroci a cui era
stato sottoposto dai commilitoni. Da quel momento nutrì un timore folle
verso chiunque indossasse una divisa. A posteriori, potremmo dire che
aveva ragione.
Era seguito dai servizi psichiatrici, ma viveva solo, tanto si sapeva
che non era pericoloso. Il 27 ottobre 2006 è stato massacrato e fatto
morire da quattro agenti di polizia, tre uomini e una donna. Per
“asfissia da posizione”, come nel caso di Federico Aldrovandi.

Quel giorno, per Riccardo, era di felicità, uno dei rari nella sua
vita. Era stata accolta la sua richiesta per un posto di netturbino,
doveva presentarsi la mattina dopo. Festeggia a modo suo. Accende una
radiolina a tutto volume. Esce nudo sul balcone e lancia, nel cortile
posteriore, un paio di petardi. Si mette a ballare. I vicini
comprensibilmente si spaventano e chiamano la polizia. Arriva una
pattuglia che intima a Riccardo di aprire la porta. Le divise tanto
temute. L’uomo, terrorizzato, rifiuta, si riveste, va a rannicchiarsi
sul letto. La pattuglia, con l’ausilio di due vigili del fuoco,
scardina l’uscio dell’appartamento con un piede di porco.
Riccardo cerca di difendersi, getta a terra la poliziotta. Viene
percosso sul cranio e sul viso con un manico di piccone e con il piede
di porco. I suoi schizzi di sangue imbrattano le pareti della stanza.
Alla fine è imbavagliato, ammanettato, le caviglie legate con del filo
di ferro. E’ coperto di ferite. Gli salgono sul dorso. Lui rantola, non
riesce a respirare. Muore soffocato. Le pareti attorno paiono quelle di
una macelleria.
Chi non ci crede, guardi questo video, parte 1 e parte 2, realizzato da Paolo Bertazza.

RiccardoRasman2.jpgSi
apre un processo che sembra volgere all’archiviazione, se non fosse per
un ripensamento del PM, che di recente ha riaperto il caso. La
mobilitazione e la denuncia, malgrado alcune interrogazioni
parlamentari e varie controinchieste sul web, sono scarse, e per lo più
a livello locale. Eppure è l’ennesimo sintomo di una malattia
generalizzata. Come a Genova nel 2001, come nel caso di Federico
Aldrovandi, esponenti delle forze dell’ordine si sentono legittimati,
dall’uniforme che indossano e dalla quasi certezza dell’impunità
(qualcuno ricorderà le centinaia di vittime innocenti della Legge
Reale), a scatenare istinti ferini su chi non si può difendere.
Riccardo Rasman, pieno di paure, vittima tutta la vita, è stato ferito
e ucciso per avere fatto troppo rumore in un attimo di gioia. Di lui
restano a fissarci gli occhi sgranati e il sorriso un po’ incerto, da
bambino buono e timido.

Firma la petizione on line.

Pubblicato Luglio 7, 2008 02:49 AM

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