Italia, libertà filtrate

da http://punto-informatico.it/2543670/PI/News/italia-liberta-filtrate.aspx 

Roma – La sicurezza pubblica passa dalla rete: in caso di apologia di
reato, in caso di istigazione a delinquere, i provider potrebbero
trovarsi costretti a innescare misure per filtrare le pagine sotto
indagine. Dietro l’angolo, in caso di inottemperanza, c’è la minaccia
della corresponsabilità. Nelle mani dei provider ci potrebbe essere
l’onere di percorrere il crinale che divide la libertà di espressione e
il reato di opinione.

La disposizione che potrebbe costringere i
provider a filtrare le sortite dei cittadini della rete è contenuta nel
pacchetto sicurezza, il noto disegno di legge 733: sotto forma di un emendamento incastonato nel testo dal senatore Gianpiero D’Alia (UDC), si introduce nel DDL l’articolo 50-bis, "Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet". Il Senato ha approvato ieri il testo definitivo, testo che ora rimbalzerà alla Camera.

Al comma 1 si recita:

Quando
si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle
leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice
penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi
che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia
o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro
dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può
disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata,
ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare
gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.

Se le parole di un cittadino della rete
dovessero finire sotto indagine per essersi pronunciato riguardo a
certi delitti, se il cittadino della rete dovesse essere sospettato di
aver incoraggiato a commettere un reato, l’autorità giudiziaria
potrebbe comunicare al Ministro dell’Interno la necessità di
intervenire. "Ci sono i presupposti perché il ministro agisca in modo
discrezionale" spiega l’avvocato Daniele Minotti, contattato da Punto Informatico: la formulazione del testo non sembra obbligare il Ministro a disporre il decreto per mettere in moto i provider.

 

Ma una volta emesso il decreto la palla passerà agli ISP:
dovranno innescare "appositi strumenti di filtraggio", dei quali
tracceranno i contorni tecnici e tecnologici il Ministro dell’interno,
di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con quello della
pubblica amministrazione e innovazione. Avranno 24 ore
per isolare dalla rete la pagina indicata dal decreto del Ministro: a
pendere sul capo del provider potrebbero esserci sanzioni che oscillano
dai 50mila ai 250mila euro. Ma soprattutto, sottolinea l’avvocato
Minotti, l’ombra dell’accusa di essere corresponsabili
di "apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet".
"Rischiano di essere accusati di concorso – spiega Minotti – si tratta
di un meccanismo perverso: avere l’obbligo giuridico di impedire un
evento e sfuggire a quest’obbligo equivale a lasciare che altri
continuino a compiere il reato e si finisce per dover rispondere di
reato omissivo improprio. Pagando per la stessa imputazione".
Un’imputazione che, delineata dagli artt. 414 e 414 c.p., è punita con il carcere:
da 1 a 5 anni per l’istigazione a delinquere e per l’apologia di reato,
da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di
ordine pubblico o all’odio fra le classi sociali.

L’articolo
50-bis del DDL prevede in sostanza che, in caso di indagini relative a
delitti di apologia di reato e di istigazione a delinquere o a
disobbedire alle leggi, in caso di decreto emesso dal Ministro i
provider operino così come disposto per quanto riguarda pedopornografia e gambling. Fatta eccezione per ordinanze della magistratura come quella emessa nel caso delle sigarette vendute online o nel caso
di The Pirate Bay, solo per gli abusi sui minori riversati online e
solo per il gambling non autorizzato mediato dalla rete è possibile
ordinare ai provider di operare il filtraggio. Le sanzioni che
rischiano i provider che non procedono a rendere irraggiungibile la
pagina sono le stesse di quelle previste dal decreto Gentiloni
in materia di pedopornografia online: in entrambi i casi incombe sugli
ISP un’ammenda da 50mila a 250mila euro, in entrambi i casi i provider
potrebbero rischiare la corresponsabilità.

Le poche parole
contenute nell’articolo 50-bis potrebbero aprire uno squarcio su uno
scenario inquietante: l’avvocato Minotti sottolinea che i reati
d’opinione sono reati che non sono inquadrati dalla legge in maniera
definita, che potrebbero sovrapporsi con la manifestazione del pensiero dell’individuo, un diritto tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. I provider, concordano
i consumatori, potrebbero trovarsi ad agire come setacci della libera
espressione: il filtraggio può essere ordinato qualora "sussistono
concreti elementi che consentano di ritenere" che sia stato commesso un
reato.

Sono numerosi gli interrogativi che si configurerebbero,
qualora il DDL dovesse convertirsi in legge senza che l’art.50-bis
venga stralciato. L’attenzione dell’autorità giudiziaria potrebbe
concentrarsi ad esempio su un video postato su una piattaforma di
sharing. Nell’ipotesi che la piattaforma non rimuova il contenuto su
segnalazione, dovrebbero intervenire i provider. Che potrebbero non avere i mezzi per agire in maniera chirurgica, e potrebbero trovarsi costretti a inibire l’accesso all’intero dominio. "L’applicazione del DDL appena approvato – conferma a Punto Informatico l’avvocato Guido Scorza
– porta come automatica conseguenza il ritorno del paese ad un film
liberticida già visto 10 anni fa: quello in cui per impedire la
circolazione di un contenuto ritenuto illecito si sequestrava un intero
server".

Gli ISP, in attesa del testo consolidato del DDL, manifestano apprensioni e denunce. Assoprovider, che poche settimane fa si era espressa in materia, è netta: "Lo schema ormai collaudato – spiega a Punto Informatico il presidente Dino Bortolotto – è che se qualche reato viene commesso per mezzo di Internet allora è indispensabile un intervento legislativo speciale che contenga necessariamente
un coinvolgimento dei provider (ovviamente italiani) nell’azione di
repressione e dove le sanzioni per i provider che non ottemperano in
tempi richiesti ovviamente non tengono in nessun conto né delle
capacita operative ed economiche dei provider". "Come dire – affonda
Bortolotto – che con la scusa di perseguire un fine nobile (perseguire
un reato) si determinino delle misure che ledono significativamente la
libertà d’impresa di chi non ha commesso alcun reato". Il presidente di
Assoprovider scaglia una provocazione: "ad esempio per catturare tutti
i latitanti perché non obbligare tutti gli esercizi pubblici ad
effettuare l’identificazione dei frequentatori e ovviamente, in caso di
mancata identificazione di un latitante, erogare una multa da 50mila a
250mila euro"?

"Se fosse vero – paventa invece il presidente di AIIP Paolo Nuti
– ci troveremmo di fronte ad un provvedimento che sovverte, e non
sarebbe la prima volta, il concetto di sequestro". "Anziché concentrare
l’attenzione su chi utilizza Internet per compiere reati e rimuovere i
contenuti illecitamente diffusi – spiega Nuti a Punto Informatico
– ci si limiterebbe a nasconderne l’esistenza ad un’opinione pubblica
giustamente allarmata, ma sostanzialmente inconsapevole della
differenza che corre tra pull e push, tra internet e
la televisione, tra censura e sequestro". "Se fosse vero – denuncia
Nuti – il prossimo passo potrebbe essere il ripristino della censura,
espressamente esclusa dall’articolo 15 della Costituzione, delle
comunicazioni interpersonali".

Ma il senatore D’Alia, che pure in passato si è fatto promotore
di altre misure di controllo della rete, si mostra soddisfatto
dell’integrazione dell’emendamento. Un emendamento che fa seguito alle invettive scagliate contro coloro che su Facebook inneggino a capi mafiosi, a gruppi terroristici, alla violenza. D’Alia nei giorni scorsi aveva definito
Facebook "un social network che si sta rendendo complice di ogni genere
di nefandezza, cavalcando per puri motivi pubblicitari i più beceri
istinti emulativi". Il senatore aveva promesso "la regolamentazione di
un settore che somiglia sempre più a una giungla dove tutto è
tollerato". Il primo passo verso la regolamentazione è stato compiuto:
"In questo modo – ha commentato
D’Alia nelle scorse ore – diamo concretezza alle nostre iniziative per
ripulire la rete, e in particolare il social network Facebook, dagli
emuli di Riina, Provenzano, delle BR, degli stupratori di Guidonia e di
tutti gli altri cattivi esempi cui finora si è dato irresponsabilmente
spazio".

"L’ICT – denuncia l’esperto Stefano Quintarelli sulle pagine di Punto Informatico
– è un tema specialistico non così ampiamente noto ai parlamentari.
Esiste la Fondazione Bordoni che è un thinktank in materia di TLC, che
ha sempre lavorato per il ministero delle Comunicazioni." "È stata
consultata? – si chiede Quintarelli – Non credo proprio che avrebbero
espresso parere favorevole a un provvedimento come questo. E se non è
stata consultata, sarebbe cosa buona e giusta farlo, per il futuro".
"Internet è uno strumento di comunicazione – ammonisce Quintarelli –
non un’arma di diffusione di massa".

Gaia Bottà

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